Rispetto al settore economico di appartenenza delle aziende, la letteratura sui “modelli di previsione della insolvenza” distingue tra modelli “generali” e modelli “specifici” (si veda, per esempio, Varetto, 1999, pp. 210-211). I primi sono costruiti sulla base di, e sono destinati a, tutte le imprese, appartenenti a qualsiasi settore economico. I secondi, invece, sono costruiti sulla base di, e sono destinati a, imprese appartenenti a uno specifico settore economico. A tale proposito, Varetto (1999, pp. 210-211) rileva che “i modelli generali tendono […] a riflettere gli andamenti dei settori che vi sono rappresentati: se i divari tra i livelli degli indicatori, o il loro andamento, sono troppo diversi ovvero è differente la sensitività al ciclo economico (cicli settoriali sfasati e di diversa ampiezza) si possono generare instabilità nei modelli ovvero u¬n’eccessiva influenza di alcuni settori sul profilo medio dei risultati complessivi”. La ricerca condotta da Platt e Platt (1990) mostra che è necessario considerare i profili legati al settore nei “modelli di previsione della insolvenza” in quanto il settore sintetizza profili specifici, come i fattori produttivi impiegati, il ciclo produttivo, la struttura competitiva, il modello di distribuzione, ecc. Ooghe e de Prijcker (2008) evidenziano la necessità di adottare modelli specifici per settore in quanto aziende operanti in settori differenti, pur avendo strutture finanziarie simili, hanno una diversa probabilità di default. Chava e Jarrow (2004) ritengono che la variabile “settore” sia fondamentale nei “modelli di previsione della insolvenza” in quanto tale variabile riflette non solo aspetti strategico-organizzativi e competitivi ma anche convenzioni contabili specifiche a parità di principi contabili adottati. In sintesi, le ricerche citate sembrano suggerire che i modelli generali possono risultare meno performanti, in termini di “capacità predittiva”, dei modelli specifici e, pertanto, “idealmente sarebbe preferibile disporre di singoli modelli settoriali in grado di catturare le specificità delle imprese che vi operano” (Varetto, 1999, p. 210). Tuttavia, l’assunzione che i modelli specifici (o quelli generali che contemplano in una qualche forma il settore economico di appartenenza delle aziende) siano più performanti dei modelli generali puri (ossia che non contemplano il settore economico di appartenenza delle aziende) resta ancora una ipotesi da confermare (Bellovary, Giacomino e Akers, 2007; Laguillo, del Castillo, Fernández e Becerra, 2019). Secondo Laguillo, del Castillo, Fernández e Becerra (2019), la mancanza di una conclusione definitiva può essere dovuta al fatto che i modelli proposti in letteratura non possano essere confrontati in modo omogeneo, a causa della disparità di metodologie, approcci, banche dati disponibili, periodi e paesi, tra le altre questioni. Pertanto, l’idea che “specifico” sia meglio di “generale” rappresenta ancora oggi un importante e interessante ambito di ricerca. Considerato quanto precede, lo studio ha l’obiettivo di verificare l’esistenza di un impatto del settore economico di appartenenza delle aziende sulla “capacità predittiva” di “modelli di previsione della insolvenza” con riferimento alle imprese italiane. Più formalmente, lo studio ha l’obiettivo di testare l’ipotesi di ricerca che segue: i “modelli di previsione della insolvenza” che contemplano il settore economico di appartenenza delle aziende hanno una “capacità predittiva” superiore di quelli che non lo contemplano.
L’impatto del settore economico sull’efficacia dei modelli di previsione dell’insolvenza: il caso delle imprese italiane / Branciari, Sergio; Giuliani, Marco; Poli, Simone. - ELETTRONICO. - (2022), pp. 58-83.
L’impatto del settore economico sull’efficacia dei modelli di previsione dell’insolvenza: il caso delle imprese italiane
Sergio Branciari;Marco Giuliani;Simone Poli
2022-01-01
Abstract
Rispetto al settore economico di appartenenza delle aziende, la letteratura sui “modelli di previsione della insolvenza” distingue tra modelli “generali” e modelli “specifici” (si veda, per esempio, Varetto, 1999, pp. 210-211). I primi sono costruiti sulla base di, e sono destinati a, tutte le imprese, appartenenti a qualsiasi settore economico. I secondi, invece, sono costruiti sulla base di, e sono destinati a, imprese appartenenti a uno specifico settore economico. A tale proposito, Varetto (1999, pp. 210-211) rileva che “i modelli generali tendono […] a riflettere gli andamenti dei settori che vi sono rappresentati: se i divari tra i livelli degli indicatori, o il loro andamento, sono troppo diversi ovvero è differente la sensitività al ciclo economico (cicli settoriali sfasati e di diversa ampiezza) si possono generare instabilità nei modelli ovvero u¬n’eccessiva influenza di alcuni settori sul profilo medio dei risultati complessivi”. La ricerca condotta da Platt e Platt (1990) mostra che è necessario considerare i profili legati al settore nei “modelli di previsione della insolvenza” in quanto il settore sintetizza profili specifici, come i fattori produttivi impiegati, il ciclo produttivo, la struttura competitiva, il modello di distribuzione, ecc. Ooghe e de Prijcker (2008) evidenziano la necessità di adottare modelli specifici per settore in quanto aziende operanti in settori differenti, pur avendo strutture finanziarie simili, hanno una diversa probabilità di default. Chava e Jarrow (2004) ritengono che la variabile “settore” sia fondamentale nei “modelli di previsione della insolvenza” in quanto tale variabile riflette non solo aspetti strategico-organizzativi e competitivi ma anche convenzioni contabili specifiche a parità di principi contabili adottati. In sintesi, le ricerche citate sembrano suggerire che i modelli generali possono risultare meno performanti, in termini di “capacità predittiva”, dei modelli specifici e, pertanto, “idealmente sarebbe preferibile disporre di singoli modelli settoriali in grado di catturare le specificità delle imprese che vi operano” (Varetto, 1999, p. 210). Tuttavia, l’assunzione che i modelli specifici (o quelli generali che contemplano in una qualche forma il settore economico di appartenenza delle aziende) siano più performanti dei modelli generali puri (ossia che non contemplano il settore economico di appartenenza delle aziende) resta ancora una ipotesi da confermare (Bellovary, Giacomino e Akers, 2007; Laguillo, del Castillo, Fernández e Becerra, 2019). Secondo Laguillo, del Castillo, Fernández e Becerra (2019), la mancanza di una conclusione definitiva può essere dovuta al fatto che i modelli proposti in letteratura non possano essere confrontati in modo omogeneo, a causa della disparità di metodologie, approcci, banche dati disponibili, periodi e paesi, tra le altre questioni. Pertanto, l’idea che “specifico” sia meglio di “generale” rappresenta ancora oggi un importante e interessante ambito di ricerca. Considerato quanto precede, lo studio ha l’obiettivo di verificare l’esistenza di un impatto del settore economico di appartenenza delle aziende sulla “capacità predittiva” di “modelli di previsione della insolvenza” con riferimento alle imprese italiane. Più formalmente, lo studio ha l’obiettivo di testare l’ipotesi di ricerca che segue: i “modelli di previsione della insolvenza” che contemplano il settore economico di appartenenza delle aziende hanno una “capacità predittiva” superiore di quelli che non lo contemplano.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.