Lo studio della motivazione ha richiesto una scelta di ordine metodologico dipesa, in larga parte, dall’analisi dell’evoluzione dell’istituto. Il percorso di indagine avviatosi con “La motivazione degli atti tributari. Studi preliminari”, Bologna, 2008, ha consentito un confronto con gli studi e le tematiche del diritto amministrativo, confortando la scelta sistematica di approfondire l’istituto della motivazione attraverso l’analisi dell’esercizio della funzione impositiva; tale, infatti, è parsa la metodologia che meglio interpreta la ratio che sorregge ogni obbligo di motivazione. Nel diritto tributario gli atti costituiscono sempre espressione dell’esercizio di un potere autoritativo: tale carattere tipico si rinviene dall’elaborazione operata nel diritto amministrativo, ove tale nozione è utilizzata con riferimento agli atti ablatori, tra i quali si annoverano gli atti impositivi. La prospettiva che si rinviene negli studi più risalenti (Cammeo, Iaccarino e Lucifredi) si snoda attraverso l’approfondimento della motivazione come elemento (o requisito) dell’atto, sia essa concepita nella sua “costruzione” in senso formale o sostanziale. Ciò, nondimeno, l’evoluzione storica dell’istituto ha mostrato l’attitudine della motivazione ad evolversi nel tempo e ad adeguare la sua fenomenologia al contesto normativo di riferimento. Nel diritto tributario la stretta continuità con l’impostazione di matrice amministrativistica delinea alla fine degli anni sessanta, ove emerge, grazie agli studi di Moretti (in un contesto normativo che già prevedeva l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento a pena di nullità), una maggiore sensibilità verso lo studio di questo istituto nel quadro del procedimento di imposizione e, più in generale, nell’evoluzione dell’azione amministrativa, sebbene limitatamente all’atto di accertamento. Da tale risalente studio si colgono interessanti spunti incentrati, da una parte, sulla unitarietà del concetto di motivazione (quanto agli atti autoritativi) e, dall’altra, sull’opportunità di ispirarsi ad una considerazione delle dinamiche impositive attraverso una concezione dell’azione come espressione di imparzialità e di giusto procedimento (grazie anche alle intuizioni di Allorio, Maffezzoni e Micheli). Da questo punto di vista, una limitazione dell’indagine circoscritta alla motivazione come elemento dell’atto di accertamento è parsa una prospettiva per certi versi angusta: l’impulso dato dagli studi amministrativistici ha contribuito, infatti, nel diritto tributario, ad inquadrare e valorizzare la motivazione come istituto strettamente collegato all’azione amministrativa ed anche come “veicolo” finalizzato ad operare un controllo sulla trasparenza dell’esercizio del potere pubblico, soprattutto in relazione agli atti restrittivi della sfera giuridica del privato. In questa fase, la tensione dinamica tra autoritativià del prelievo e tutela del contribuente ha trovato ulteriori spunti di approfondimento teorico e di riflessione negli studi di Berliri, prima, e di Moschetti, poi, nonché nell’entrata in vigore della legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241. Da qui la scelta di approfondire il tema attraverso una riflessione che, pur senza trascurare la classica e proficua ottica della motivazione come elemento dell’atto di accertamento, si spingesse a collocare la motivazione nel quadro più generale dell’azione impositiva, in una prospettiva nuova rispetto alla tradizionale attenzione della dottrina tributaria. Da quella fase storica in avanti, infatti, si è evidenziato il parallelismo tra procedimento amministrativo e procedimento tributario, in un difficoltoso rapporto da genus a species. Anche l’apporto della giurisprudenza europea, sotto tali profili, è risultato di grande rilievo: previsto originariamente dal Trattato di Roma solo per regolamenti, direttive e decisioni, l’obbligo di motivazione è stato poi interpretato estensivamente dalla giurisprudenza europea. Per altro verso, l’esplicito obbligo di motivazione degli atti amministrativi, previsto dall’art. 3 della legge 241/1990, è stato fonte, nel diritto tributario, di un ampio dibattito caratterizzato da prese di posizione talvolta rigide ed aprioristiche, basate su un male inteso particolarismo tributario che ha impedito una pacifica applicazione di tale disposizione. Proprio per queste ragioni diventa importante percepire le problematiche che ruotano intorno all’interpretazione dell’art. 3 della legge 241/1990, a cominciare dall’individuazione delle categorie degli atti ai quali si applica dato che, in essa, si rinvengono i fondamenti dell’attuale disciplina della motivazione degli atti tributari. Il confronto tra il procedimento tributario considerato, in linea di massima, come espressione di una potestà vincolata dalla legge, ed il procedimento amministrativo, ricondotto per lo più, invece, all’esercizio di poteri prevalentemente discrezionali, ha generato una progressiva distanza tra i due modelli: l’ostacolo all’evoluzione in senso garantista della disciplina dei procedimenti tributari è stato rinvenuto nella marginalizzazione della discrezionalità rispetto all’esercizio della funzione di controllo e di verifica dei contribuenti. La valorizzazione del ruolo del procedimento di imposizione rispetto all’obbligazione tributaria e l’accentuazione della funzione impositiva nella determinazione dell’an e del quantum del tributo, hanno consolidato la teorizzazione circa la natura vincolata dell’azione, rispetto alle peculiarità di alcuni segmenti dell’azione di attuazione del tributo, ove invece, oggi, pare fondato riconoscere margini di discrezionalità. D’altro canto, i continui ripensamenti della giurisprudenza tributaria in ordine all’abbandono della concezione dell’atto impositivo come provocatio ad opponendum, nell’alveo della sua ricostruzione come atto a contenuto provvedimentale, ha contribuito a rendere difficoltosa una sistematizzazione delle problematiche degli schemi teorici di attuazione del prelievo tributario. L’art. 3 della legge 241/1990, che estende l’obbligo di motivazione anche agli atti vincolati, costituisce, in quest’ottica, la dimostrazione che tale elemento dell’atto è funzionale a consentire, prima di tutto, un vaglio sulla legittimità e la trasparenza del procedimento, anche a fini di controllo interno all’amministrazione, oltre che un controllo sul piano giurisdizionale; in tal senso, emerge il carattere di polidimensionalità della motivazione e lo stretto collegamento che intercorre tra istruttoria, contenuto motivo dell’atto e prova nel processo. La motivazione non costituisce solo una componente dell’esternazione del provvedimento, ma anche la sintesi dell'istruttoria attraverso la quale l’amministrazione dimostra di avere seguito le norme procedimentali e sostanziali, giustificando (prima di tutto a sè stessa, secondo l’insegnamento di Allorio) le scelte compiute nel corso del procedi¬mento; l’esternazione del contenuto dispositivo dell’atto deve, poi, essere attuata in misura da consentire di soddisfare le esigenze di difesa del contribuente ed il sindacato in sede giurisdizionale. Il Legislatore tributario è intervenuto emanando una disposizione che stabilisce, all’interno dello Statuto del contribuente, il generalizzato obbligo di motivazione degli atti impositivi. Il passaggio del rapporto originariamente improntato sullo schema autorità-soggezione, ad una ricostruzione dello strumento del procedimento in funzione del suo contenuto garantistico, in ordine alla trasparenza dell’attività svolta, hanno consentito di inquadrare definitivamente la motivazione nell’alveo di un sistema di garanzie e di principi generali della materia tributaria. Dal quadro appena delineato, tuttavia, è emerso come al recepimento dell’obbligo di motivazione, mutuato dalla legge generale sul procedimento amministrativo e ribadito nello Statuto del contribuente, si è contrapposta una difficoltosa, sebbene auspicabile, riconducibilità del procedimento tributario al procedimento amministrativo. Come corollario, ne è derivato un problematico tentativo di armonizzare la portata generale delle previsioni dello Statuto con le disposizioni delle singole leggi di imposta, che impongono, per determinati atti tributari, differenti iter procedimentali. Non solo: nelle specifiche disposizioni che disciplinano i singoli tributi, la motivazione non risulta sempre prevista come requisito per la validità degli atti emessi successivamente all’istruttoria operata dagli organi di controllo. Ne è emerso un acceso dibattito in dottrina volto a verificare se l’assenza di tale requisito comportasse l’invalidità degli atti nei quali la motivazione risultava carente o inesistente. La codificazione dei vizi invalidanti gli atti amministrativi, operata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 che modificato la legge 241/1990 e, più in generale, il tema dell’invalidità dell’atto impositivo, impongono una riflessione ed un ulteriore sforzo ricostruttivo con riferimento alle ricadute sull’azione impositiva ma, soprattutto, in relazione all’individuazione del vizio di motivazione come vizio del procedimento o vizio dell’atto. L’ambito così complesso del quadro di riferimento ed i continui ripensamenti giurisprudenziali che si sono registrati in tema di struttura dell’atto impositivo e di motivazione hanno, dunque, suggerito di procedere nella ricerca individuando, preliminarmente, la natura ed i caratteri della funzione impositiva in relazione al contenuto della motivazione. Questa analisi deve scontare un’imprescindibile fase di ricostruzione storica dell’istituto che non potrà che affondare le sue origini nelle linee evolutive della motivazione degli atti amministrativi, per poi approdare ad un inquadramento sistematico della motivazione nell’azione impositiva, anche con riferimento ai suoi ambiti applicativi. Sotto tali ultimi profili, la funzione della motivazione degli atti impositivi assume una duplice valenza: oltre che esplicitare, anche all’interno della stessa amministrazione, l’esistenza dei fondamenti e delle condizioni cui è subordinata l’emissione dell’atto, permetterà l’identificazione dei presupposti materiali e giuridici cui è correlata la pretesa tributaria, ai fini di consentire al destinatario dell’atto un effettiva comprensione circa la correttezza dell’iter procedimentale adottato e l’esattezza dell’an e del quantum della pretesa impositiva, con tutti i conseguenti corollari in relazione alla delimitazione dell’ambito delle ragioni adducibili in sede contenziosa. Da qui lo stretto collegamento tra motivazione e prova ed il rilievo che essa acquisisce nella delimitazione del thema decidendum nella fase processuale, stanti le implicazioni derivanti dalla struttura impugnatoria del giudizio tributario e dalla centralità dell’atto impositivo nel processo. Quanto ai profili del vizio di motivazione, nell’ambito del regime di invalidità degli atti e nel quadro dei principi generali dell’azione amministrativa, le problematiche da affrontare si pongono con riguardo ai riflessi derivanti dalla codificazione dei vizi introdotta ad opera della novella della legge 241/1990 e, in particolare, nell’ambito dell’attività vincolata, con riferimento alle ricadute nel diritto tributario del depotenziamento dei vizi non idonei ad alterare il contenuto dispositivo degli atti. La diversa tipologia degli atti tributari e le differenti “gradazioni” che la motivazione in essi assume, a seconda del tasso di vincolatività o di discrezionalità, della loro rilevanza nell’accertamento della fattispecie imponibile o del loro mero rilievo procedimentale, ha, infine, richiesto, a conclusione della complessiva ricerca e sotto il profilo della loro funzione, un’analisi del contenuto motivazionale dei singoli atti impositivi.
La motivazione degli atti impositivi / Califano, Christian. - (2012).
La motivazione degli atti impositivi
Califano, Christian
2012-01-01
Abstract
Lo studio della motivazione ha richiesto una scelta di ordine metodologico dipesa, in larga parte, dall’analisi dell’evoluzione dell’istituto. Il percorso di indagine avviatosi con “La motivazione degli atti tributari. Studi preliminari”, Bologna, 2008, ha consentito un confronto con gli studi e le tematiche del diritto amministrativo, confortando la scelta sistematica di approfondire l’istituto della motivazione attraverso l’analisi dell’esercizio della funzione impositiva; tale, infatti, è parsa la metodologia che meglio interpreta la ratio che sorregge ogni obbligo di motivazione. Nel diritto tributario gli atti costituiscono sempre espressione dell’esercizio di un potere autoritativo: tale carattere tipico si rinviene dall’elaborazione operata nel diritto amministrativo, ove tale nozione è utilizzata con riferimento agli atti ablatori, tra i quali si annoverano gli atti impositivi. La prospettiva che si rinviene negli studi più risalenti (Cammeo, Iaccarino e Lucifredi) si snoda attraverso l’approfondimento della motivazione come elemento (o requisito) dell’atto, sia essa concepita nella sua “costruzione” in senso formale o sostanziale. Ciò, nondimeno, l’evoluzione storica dell’istituto ha mostrato l’attitudine della motivazione ad evolversi nel tempo e ad adeguare la sua fenomenologia al contesto normativo di riferimento. Nel diritto tributario la stretta continuità con l’impostazione di matrice amministrativistica delinea alla fine degli anni sessanta, ove emerge, grazie agli studi di Moretti (in un contesto normativo che già prevedeva l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento a pena di nullità), una maggiore sensibilità verso lo studio di questo istituto nel quadro del procedimento di imposizione e, più in generale, nell’evoluzione dell’azione amministrativa, sebbene limitatamente all’atto di accertamento. Da tale risalente studio si colgono interessanti spunti incentrati, da una parte, sulla unitarietà del concetto di motivazione (quanto agli atti autoritativi) e, dall’altra, sull’opportunità di ispirarsi ad una considerazione delle dinamiche impositive attraverso una concezione dell’azione come espressione di imparzialità e di giusto procedimento (grazie anche alle intuizioni di Allorio, Maffezzoni e Micheli). Da questo punto di vista, una limitazione dell’indagine circoscritta alla motivazione come elemento dell’atto di accertamento è parsa una prospettiva per certi versi angusta: l’impulso dato dagli studi amministrativistici ha contribuito, infatti, nel diritto tributario, ad inquadrare e valorizzare la motivazione come istituto strettamente collegato all’azione amministrativa ed anche come “veicolo” finalizzato ad operare un controllo sulla trasparenza dell’esercizio del potere pubblico, soprattutto in relazione agli atti restrittivi della sfera giuridica del privato. In questa fase, la tensione dinamica tra autoritativià del prelievo e tutela del contribuente ha trovato ulteriori spunti di approfondimento teorico e di riflessione negli studi di Berliri, prima, e di Moschetti, poi, nonché nell’entrata in vigore della legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241. Da qui la scelta di approfondire il tema attraverso una riflessione che, pur senza trascurare la classica e proficua ottica della motivazione come elemento dell’atto di accertamento, si spingesse a collocare la motivazione nel quadro più generale dell’azione impositiva, in una prospettiva nuova rispetto alla tradizionale attenzione della dottrina tributaria. Da quella fase storica in avanti, infatti, si è evidenziato il parallelismo tra procedimento amministrativo e procedimento tributario, in un difficoltoso rapporto da genus a species. Anche l’apporto della giurisprudenza europea, sotto tali profili, è risultato di grande rilievo: previsto originariamente dal Trattato di Roma solo per regolamenti, direttive e decisioni, l’obbligo di motivazione è stato poi interpretato estensivamente dalla giurisprudenza europea. Per altro verso, l’esplicito obbligo di motivazione degli atti amministrativi, previsto dall’art. 3 della legge 241/1990, è stato fonte, nel diritto tributario, di un ampio dibattito caratterizzato da prese di posizione talvolta rigide ed aprioristiche, basate su un male inteso particolarismo tributario che ha impedito una pacifica applicazione di tale disposizione. Proprio per queste ragioni diventa importante percepire le problematiche che ruotano intorno all’interpretazione dell’art. 3 della legge 241/1990, a cominciare dall’individuazione delle categorie degli atti ai quali si applica dato che, in essa, si rinvengono i fondamenti dell’attuale disciplina della motivazione degli atti tributari. Il confronto tra il procedimento tributario considerato, in linea di massima, come espressione di una potestà vincolata dalla legge, ed il procedimento amministrativo, ricondotto per lo più, invece, all’esercizio di poteri prevalentemente discrezionali, ha generato una progressiva distanza tra i due modelli: l’ostacolo all’evoluzione in senso garantista della disciplina dei procedimenti tributari è stato rinvenuto nella marginalizzazione della discrezionalità rispetto all’esercizio della funzione di controllo e di verifica dei contribuenti. La valorizzazione del ruolo del procedimento di imposizione rispetto all’obbligazione tributaria e l’accentuazione della funzione impositiva nella determinazione dell’an e del quantum del tributo, hanno consolidato la teorizzazione circa la natura vincolata dell’azione, rispetto alle peculiarità di alcuni segmenti dell’azione di attuazione del tributo, ove invece, oggi, pare fondato riconoscere margini di discrezionalità. D’altro canto, i continui ripensamenti della giurisprudenza tributaria in ordine all’abbandono della concezione dell’atto impositivo come provocatio ad opponendum, nell’alveo della sua ricostruzione come atto a contenuto provvedimentale, ha contribuito a rendere difficoltosa una sistematizzazione delle problematiche degli schemi teorici di attuazione del prelievo tributario. L’art. 3 della legge 241/1990, che estende l’obbligo di motivazione anche agli atti vincolati, costituisce, in quest’ottica, la dimostrazione che tale elemento dell’atto è funzionale a consentire, prima di tutto, un vaglio sulla legittimità e la trasparenza del procedimento, anche a fini di controllo interno all’amministrazione, oltre che un controllo sul piano giurisdizionale; in tal senso, emerge il carattere di polidimensionalità della motivazione e lo stretto collegamento che intercorre tra istruttoria, contenuto motivo dell’atto e prova nel processo. La motivazione non costituisce solo una componente dell’esternazione del provvedimento, ma anche la sintesi dell'istruttoria attraverso la quale l’amministrazione dimostra di avere seguito le norme procedimentali e sostanziali, giustificando (prima di tutto a sè stessa, secondo l’insegnamento di Allorio) le scelte compiute nel corso del procedi¬mento; l’esternazione del contenuto dispositivo dell’atto deve, poi, essere attuata in misura da consentire di soddisfare le esigenze di difesa del contribuente ed il sindacato in sede giurisdizionale. Il Legislatore tributario è intervenuto emanando una disposizione che stabilisce, all’interno dello Statuto del contribuente, il generalizzato obbligo di motivazione degli atti impositivi. Il passaggio del rapporto originariamente improntato sullo schema autorità-soggezione, ad una ricostruzione dello strumento del procedimento in funzione del suo contenuto garantistico, in ordine alla trasparenza dell’attività svolta, hanno consentito di inquadrare definitivamente la motivazione nell’alveo di un sistema di garanzie e di principi generali della materia tributaria. Dal quadro appena delineato, tuttavia, è emerso come al recepimento dell’obbligo di motivazione, mutuato dalla legge generale sul procedimento amministrativo e ribadito nello Statuto del contribuente, si è contrapposta una difficoltosa, sebbene auspicabile, riconducibilità del procedimento tributario al procedimento amministrativo. Come corollario, ne è derivato un problematico tentativo di armonizzare la portata generale delle previsioni dello Statuto con le disposizioni delle singole leggi di imposta, che impongono, per determinati atti tributari, differenti iter procedimentali. Non solo: nelle specifiche disposizioni che disciplinano i singoli tributi, la motivazione non risulta sempre prevista come requisito per la validità degli atti emessi successivamente all’istruttoria operata dagli organi di controllo. Ne è emerso un acceso dibattito in dottrina volto a verificare se l’assenza di tale requisito comportasse l’invalidità degli atti nei quali la motivazione risultava carente o inesistente. La codificazione dei vizi invalidanti gli atti amministrativi, operata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 che modificato la legge 241/1990 e, più in generale, il tema dell’invalidità dell’atto impositivo, impongono una riflessione ed un ulteriore sforzo ricostruttivo con riferimento alle ricadute sull’azione impositiva ma, soprattutto, in relazione all’individuazione del vizio di motivazione come vizio del procedimento o vizio dell’atto. L’ambito così complesso del quadro di riferimento ed i continui ripensamenti giurisprudenziali che si sono registrati in tema di struttura dell’atto impositivo e di motivazione hanno, dunque, suggerito di procedere nella ricerca individuando, preliminarmente, la natura ed i caratteri della funzione impositiva in relazione al contenuto della motivazione. Questa analisi deve scontare un’imprescindibile fase di ricostruzione storica dell’istituto che non potrà che affondare le sue origini nelle linee evolutive della motivazione degli atti amministrativi, per poi approdare ad un inquadramento sistematico della motivazione nell’azione impositiva, anche con riferimento ai suoi ambiti applicativi. Sotto tali ultimi profili, la funzione della motivazione degli atti impositivi assume una duplice valenza: oltre che esplicitare, anche all’interno della stessa amministrazione, l’esistenza dei fondamenti e delle condizioni cui è subordinata l’emissione dell’atto, permetterà l’identificazione dei presupposti materiali e giuridici cui è correlata la pretesa tributaria, ai fini di consentire al destinatario dell’atto un effettiva comprensione circa la correttezza dell’iter procedimentale adottato e l’esattezza dell’an e del quantum della pretesa impositiva, con tutti i conseguenti corollari in relazione alla delimitazione dell’ambito delle ragioni adducibili in sede contenziosa. Da qui lo stretto collegamento tra motivazione e prova ed il rilievo che essa acquisisce nella delimitazione del thema decidendum nella fase processuale, stanti le implicazioni derivanti dalla struttura impugnatoria del giudizio tributario e dalla centralità dell’atto impositivo nel processo. Quanto ai profili del vizio di motivazione, nell’ambito del regime di invalidità degli atti e nel quadro dei principi generali dell’azione amministrativa, le problematiche da affrontare si pongono con riguardo ai riflessi derivanti dalla codificazione dei vizi introdotta ad opera della novella della legge 241/1990 e, in particolare, nell’ambito dell’attività vincolata, con riferimento alle ricadute nel diritto tributario del depotenziamento dei vizi non idonei ad alterare il contenuto dispositivo degli atti. La diversa tipologia degli atti tributari e le differenti “gradazioni” che la motivazione in essi assume, a seconda del tasso di vincolatività o di discrezionalità, della loro rilevanza nell’accertamento della fattispecie imponibile o del loro mero rilievo procedimentale, ha, infine, richiesto, a conclusione della complessiva ricerca e sotto il profilo della loro funzione, un’analisi del contenuto motivazionale dei singoli atti impositivi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.