Il presente lavoro si inserisce nel dibattito sulla posizione competitiva dell’industria italiana sostenendo la tesi che le sorti dei settori tradizionali maggiormente esposti ai processi di internazionalizzazione dipendono, in larga misura, dalla capacità delle singole imprese di reagire al mutamento del quadro competitivo. Tale posizione apre la strada a due considerazioni, entrambe dipendenti dall’assunto che la capacità di reazione dell’impresa dipende dalla sua abilità di creare nuovi fattori di vantaggio competitivo (o rafforzare gli esistenti). Primo, in un quadro di progressiva intensificazione della concorrenza internazionale nei settori tradizionali, la dotazione del fattore organizzativo-imprenditoriale, ossia la capacità dell’imprenditore di portare l’impresa su dimensioni più adatte alle nuove regole competitive, torna ad essere la variabile chiave del successo dell’impresa. Si accentua, in altre parole, il ruolo discriminante dell’abilità imprenditoriale tra il comportamento «attivo», in grado di gestire la competizione, e il comportamento «passivo», che invece la subisce. Secondo, se l’attenzione analitica torna sui processi strategici dell’impresa, si attenua – o muta in maniera sostanziale – il ruolo di principale supporto competitivo che l’ambiente esterno (distretto o sistema locale) 2 ha avuto nei percorsi di crescita dei settori tradizionali. In altri termini, la capacità dei settori tradizionali di mantenersi competitivi dipenderà sempre più da come le imprese riusciranno a riappropriarsi delle leve strategiche in precedenza delegate al sistema locale. Tra queste leve, e in maniera molto evidente, compare anche la delocalizzazione della produzione. È noto come alcuni settori tradizionali abbiano usato questa leva strategica in maniera molto intensa negli anni scorsi, generando preoccupazioni sulla stabilità dei sistemi di produzioni locali e, in particolare, sull’impatto di tali scelte sull’occupazione.È altrettanto noto, peraltro come tale leva sia stata usata in forme e con motivazioni molto differenziate. Infatti, se numerose imprese «marginali», entrate nell’industria a seguito delle favorevoli condizioni della domanda, vi hanno fatto ricorso per imitazione o per semplice convenienza di breve periodo, un altro gruppo di imprese, più limitato numericamente ma di certo ben dotato di fattore organizzativoimprenditoriale, ha inserito tale leva all’interno di una strategia competitiva basata su fattori non di prezzo. Nel presente contributo cerchiamo di fornire ulteriori elementi di riflessione sulle modalità e sul ruolo che il processo di delocalizzazione ha assunto in un settore tradizionale importante dell’economia italiana quale quello calzaturiero. L’obiettivo che il lavoro si pone è quello di evidenziare in che modo e con quali risultati le imprese di un settore tradizionale abbiano sfruttato la leva della delocalizzazione per reagire al mutamento del contesto competitivo. A tal fine, le scelte di delocalizzazione osservate in un campione di imprese calzaturiere sono state associate a differenti fattori strutturali e di performance, rilevati attraverso dati contabili e indagine diretta. Il quadro che ne deriva mostra come l’internazionalizzazione produttiva sia risultata sicuramente una via importante per il recupero della competitività in un settore maturo come il calzaturiero, schiacciato – negli ultimi anni – da una domanda debole e da una forte concorrenza da parte di nuovi produttori. Ma mostra anche come le imprese abbiano fronteggiato le difficoltà di mercato con azioni molto differenziate, registrando una forte variabilità nelle risposte strategiche in relazione alle proprie caratteristiche strutturali e alle previsioni sull’evoluzione dello scenario competitivo. Tale conclusione rafforza l’ipotesi che, anche in un sistema produttivo tipicamente distrettuale come il calzaturiero marchigiano, le risposte delle imprese ai mutamenti del contesto siano sempre più spesso di tipo «individuale» piuttosto che di sistema. Il mutamento del quadro competitivo e l’emergere di competitors aggressivi costringono le imprese a recuperare leve strategiche «proprietarie» e fattori di competitività interni all’impresa, attenuando il ruolo che il sistema locale ha come creatore di fattori di vantaggio competitivo. Resta solo sullo sfondo – in questo contributo – il tema delle possibili evoluzioni degli assetti distrettuali sul versante dell’organizzazione dell’industria.

Internazionalizzazione e strategie delle imprese nei settori tradizionali / Conti, Giuliano; Cucculelli, Marco; Paradisi, M.. - In: L'INDUSTRIA. - ISSN 0019-7416. - STAMPA. - 1:1(2007), pp. 121-161.

Internazionalizzazione e strategie delle imprese nei settori tradizionali

CONTI, GIULIANO;CUCCULELLI, Marco;
2007-01-01

Abstract

Il presente lavoro si inserisce nel dibattito sulla posizione competitiva dell’industria italiana sostenendo la tesi che le sorti dei settori tradizionali maggiormente esposti ai processi di internazionalizzazione dipendono, in larga misura, dalla capacità delle singole imprese di reagire al mutamento del quadro competitivo. Tale posizione apre la strada a due considerazioni, entrambe dipendenti dall’assunto che la capacità di reazione dell’impresa dipende dalla sua abilità di creare nuovi fattori di vantaggio competitivo (o rafforzare gli esistenti). Primo, in un quadro di progressiva intensificazione della concorrenza internazionale nei settori tradizionali, la dotazione del fattore organizzativo-imprenditoriale, ossia la capacità dell’imprenditore di portare l’impresa su dimensioni più adatte alle nuove regole competitive, torna ad essere la variabile chiave del successo dell’impresa. Si accentua, in altre parole, il ruolo discriminante dell’abilità imprenditoriale tra il comportamento «attivo», in grado di gestire la competizione, e il comportamento «passivo», che invece la subisce. Secondo, se l’attenzione analitica torna sui processi strategici dell’impresa, si attenua – o muta in maniera sostanziale – il ruolo di principale supporto competitivo che l’ambiente esterno (distretto o sistema locale) 2 ha avuto nei percorsi di crescita dei settori tradizionali. In altri termini, la capacità dei settori tradizionali di mantenersi competitivi dipenderà sempre più da come le imprese riusciranno a riappropriarsi delle leve strategiche in precedenza delegate al sistema locale. Tra queste leve, e in maniera molto evidente, compare anche la delocalizzazione della produzione. È noto come alcuni settori tradizionali abbiano usato questa leva strategica in maniera molto intensa negli anni scorsi, generando preoccupazioni sulla stabilità dei sistemi di produzioni locali e, in particolare, sull’impatto di tali scelte sull’occupazione.È altrettanto noto, peraltro come tale leva sia stata usata in forme e con motivazioni molto differenziate. Infatti, se numerose imprese «marginali», entrate nell’industria a seguito delle favorevoli condizioni della domanda, vi hanno fatto ricorso per imitazione o per semplice convenienza di breve periodo, un altro gruppo di imprese, più limitato numericamente ma di certo ben dotato di fattore organizzativoimprenditoriale, ha inserito tale leva all’interno di una strategia competitiva basata su fattori non di prezzo. Nel presente contributo cerchiamo di fornire ulteriori elementi di riflessione sulle modalità e sul ruolo che il processo di delocalizzazione ha assunto in un settore tradizionale importante dell’economia italiana quale quello calzaturiero. L’obiettivo che il lavoro si pone è quello di evidenziare in che modo e con quali risultati le imprese di un settore tradizionale abbiano sfruttato la leva della delocalizzazione per reagire al mutamento del contesto competitivo. A tal fine, le scelte di delocalizzazione osservate in un campione di imprese calzaturiere sono state associate a differenti fattori strutturali e di performance, rilevati attraverso dati contabili e indagine diretta. Il quadro che ne deriva mostra come l’internazionalizzazione produttiva sia risultata sicuramente una via importante per il recupero della competitività in un settore maturo come il calzaturiero, schiacciato – negli ultimi anni – da una domanda debole e da una forte concorrenza da parte di nuovi produttori. Ma mostra anche come le imprese abbiano fronteggiato le difficoltà di mercato con azioni molto differenziate, registrando una forte variabilità nelle risposte strategiche in relazione alle proprie caratteristiche strutturali e alle previsioni sull’evoluzione dello scenario competitivo. Tale conclusione rafforza l’ipotesi che, anche in un sistema produttivo tipicamente distrettuale come il calzaturiero marchigiano, le risposte delle imprese ai mutamenti del contesto siano sempre più spesso di tipo «individuale» piuttosto che di sistema. Il mutamento del quadro competitivo e l’emergere di competitors aggressivi costringono le imprese a recuperare leve strategiche «proprietarie» e fattori di competitività interni all’impresa, attenuando il ruolo che il sistema locale ha come creatore di fattori di vantaggio competitivo. Resta solo sullo sfondo – in questo contributo – il tema delle possibili evoluzioni degli assetti distrettuali sul versante dell’organizzazione dell’industria.
2007
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